A colloquio con il patròn del ristorante Al Pappagallo, antico tempio della cucina bolognese, riportato verso le stelle

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L’appuntamento con il nuovo proprietario e patròn dello storico ristorante Al Pappagallo era fissato ai primi di marzo… dopo l’incontro celebrativo di pochi mesi fa per il centenario del locale, intendevo verificare lo stato dell’arte di quello che era stato lo storico ‘tempio della gastronomia bolognese’, punto di riferimento per il Jet set mondiale.

Da allora sono passati oltre due mesi, lunghi, difficili, sempre più pesanti, per tanti di noi dolorosi. Un tunnel dal quale ne usciamo profondamente cambiati nel morale, nelle nostre sensibilità, nell’affrontatre il dopo Covid-19 con dubbi e paure. La ristorazione paga duramente questa pandemia ed ora affronta il presente con regole e ostacoli ancora tutti da capire. Si chiama ‘distanziamento sociale’: sappiamo che ogni persona deve tenersi a distanza di almeno un metro l’una dall’altra. Lo spazio è alla base del bene collettivo, le mascherine pure, l’igiene e la sicurezza sono entrati a far parte del nostro vivere quotidiano. Ma la voglia di tornare ad un buon Ristorante c’è, la si percepisce… a poco a poco giovani e meno giovani prenotano (ora è obbligatorio!) nei locali a loro familiari, si spera lo facciano con quel rispetto verso gli altri che talvolta manca, il rigore non fa parte del nostro DNA ma oggi tutti devono cambiare il proprio modo di vivere.

Michele Pettinicchio è uomo ostinato quanto dinamico, ha lavorato in tanti campi ed ha avuto successo nel mondo della moda. Da sempre, cultore del buon cibo e dei buoni vini, un giorno decide di cambiare mestiere e, dopo una interminabile, logorante trattativa, decide, tre anni fa, di acquistarlo e ora lo gestisce assieme alla consorte Elisabetta Valenti, entrambi nelle foto mentre ricevono dal Presidente di Ascom Bologna Enrico Postacchini il Premio dell’Accademia della Cucina ‘G. Nuvoletti 2019’, al quale si è aggiunto il meritato successo del “Tortellino d’Oro”.

Un locale che ha fatto conoscere a tutto il mondo tra gli anni ’50 e ’70 le specialità e le delizie della cucina bolognese grazie alle famiglie Zurla e Tasselli e agli chef che avevano fondato questo locale, lavorando con amore e con la voglia di proporre il meglio della tradizione emiliana. Il locale divenne celebre grazie alla frequentazione di personaggi e attori di fama internazionale, quando Bologna era una città piccola, vivace e h24 ante litteram, puntando su un turismo di qualità e su un fermento davvero unico, un piccolo centro del mondo. Questa immagine si era dolorosamente offuscata col passare degli anni, per colpa di gestioni assolutamente deficitarie, tali da appannare un brand come questo. Dopo un periodo grigio Bologna sta rinascendo, grazie anche a una riscoperta della cucina di qualità e in questo filone, non sempre e solo tradizionale, il baluardo della bolognesità a tavola è ancora il ristorante Al Pappagallo! Incontriamo alla vigilia della riapertura ‘post Covid-19’ Michele Pettinicchio per conoscere lo stato dei fatti.

D. Perché siete diventati ristoratori e da quanti anni siete gestori di questo locale? L’anno del centenario è questo, ma raccontaci un po’ gli antefatti.

R. Innanzitutto noi abbiamo acquisito il Pappagallo nel luglio del 2017: sono appassionato di gastronomia e di vini da sempre! Nel momento in cui si è presentata l’occasione di acquistare un brand così importante come il Al Pappagallo, essendo un imprenditore dall’età di 19 anni, l’ho fatto. Chi è che non conosce Al Pappagallo in città e direi, nel mondo? Ho visto, con tutto il rispetto per la gestione precedente, un luogo in decadenza e così si è palesato il desiderio, in me e mia moglie, di buttarci in questa avventura, per passione e spirito di bolognesità. Ci abbiamo messo ‘solo’ un anno di trattative quindi è stato un parto importante, fatto con molto coraggio e soprattutto con una buona dose di follia: abbiamo deciso con amore di restituire alla città l’antico lustro di questo luogo pensando al futuro.

D. Un percorso irto di ostacoli dunque, nel quale imprevisti e difficoltà non sono mancati, è vero?

R. Avevamo già previsto nella trattativa d’acquisizione l’obbligo di investire su un triennio, come si fa in tutte le startup aziendali. Mi sono concentrato soprattutto, per passione e capacità che credo di possedere, sulla gastronomia bolognese. Ho passato oltre un anno in cucina con i miei cuochi che hanno preparato le ricette, studiando tutto ciò che i grandi Vittorio Zurla e Bruno Tasselli avevano creato, lavorando molto sulla scelta delle materie prime, cercando di innovare i procedimenti di preparazione e cottura. Non nascondiamoci che dagli anni ’60 e ’70 molto è cambiato. Abbiamo investito moltissimo sul settore cucina: con attrezzature all’avanguardia, celle dedicate alla frollatura delle carni e laboratorio della pasta fresca, che facciamo direttamente all’interno del locale. Esattamente come si fa prima di costruire una casa, si deve partire da fondamenta solide. Credo sia presuntuoso pensare che il risultato del piatto debba per forza essere eccellente solo in virtù della fama che questo luogo ha sempre avuto, rendendo famosa la città nella tradizione gastronomica.

D. Qual è stata la linea scelta per il locale? Parlo di idea menu, ma anche di quale target: se più o meno selezionato. E ancora: perché hai scelto chef giovani e non uno affermato come l’attuale che forse poteva accelerare i risultati?

R. Possiedo il DNA di un creativo: ho ideato, disegnato e prodotto marchi di abbigliamento negli ultimi 20 anni quindi, avendo gestito creativi, penso di avere le capacità per gestire chef creativi. So quali siano le difficoltà che uno chef deve affrontare, pertanto ritengo che Chef (capo) sia il termine più giusto proprio per tributargli rispetto. In ogni caso ritengo di essere io il vero comandante insieme a mia moglie, non per presunzione, ma per un mero dato di fatto. Torniamo al perché dei giovani: innanzitutto credo molto nella freschezza delle idee e non avevo voglia, all’inizio, con un investimento così importante da rilanciare, di concentrare tutti gli sforzi su un unico chef. Volevo cimentarmi direttamente nella preparazione delle ricette in base a quello che mi hanno sempre insegnato fin da ragazzino.

Nasco a Torino e giungo a Bologna all’età di diciotto anni, quindi vengo da tradizioni gastronomiche altrettanto importanti e con la mamma che mi ha insegnato a cucinare. Per me la cucina, prima di tutto, è una passione e da quarant’anni la sperimento, mi rilassa, l’ho sempre fatto senza mai pensare di acquisire un ristorante. Questa è un’azienda, un brand prestigioso a tutti gli effetti: ho dovuto e voluto fare un’indagine di mercato per capire se c’era la possibilità di lanciarmi in un investimento importante come questo e da qui ho deciso di avvalermi di giovani con capacità tecniche, quindi di cuochi provenienti dalle scuole con qualche esperienza già fatta in qualche ristorante, con tutte le difficoltà del caso.

D. Cominciamo dalla mission che volete dare al locale che si trova negli spazi rinnovati della Torre degli Alberici, a due passi dalle ‘Due Torri’.

R. La maniacalità del brodo, scegliere le carni per il brodo, la sfoglia e i suoi piccoli segreti, il ragù, la lasagna o la cotoletta sono arrivate un poco alla volta. All’inizio ci siamo detti “apriamo con un menu abbastanza ridotto che si concentra solo sulla tradizione”, su quelle “tre-quattro cose”, cercando di guadagnare sulla qualità. E da lì corre oggi il diciottesimo menu che faccio da quando ho preso il Pappagallo: siamo andati lentamente ad aumentare i “piatti” e l’immagine del locale. Secondo me è importante che il Pappagallo torni ad essere quello che era un tempo, quindi che cresca questa qualità meritatamente. Bologna oggi, purtroppo, si è fatta un po’ disattenta alla qualità, anche per colpa di certi ristoranti che, diciamo, cucinano un po’ con la mano sinistra. Non vorrei essere malevolo, ma ci sono cose che non comprendo; e nel momento in cui penso che questo locale era in vendita da tempo, mi chiedo perché non lo hanno comprato gli altri, i grandi ristoratori della città?

D. Ma oggi soprattutto nella ristorazione – non in taluni Circoli – la grande cucina di tradizione è sparita….

R. Ero un ragazzo coi capelli lunghi, un dandy, andavo a mangiare a Minerbio ed era il tipo di tradizione che a me piaceva. Come andavo da Franco Mirasole perché mi trovavo lì vicino. Ho avuto l’onore di avere Massimo Osti come maestro e da lui ho imparato tutto, anche se non c’è più da tanti anni, gli sarò eternamente grato. L’altro vero maestro che ho avuto è stato mio suocero che mi ha insegnato la cura maniacale dei dettagli nella nostra gastronomia. Non è un caso  che  io  scrivo sul menu ‘tortellino al mignolo in doppio brodo di cappone’: sono nato e cresciuto con quella cultura.

D. Per quanto riguarda il menu si farà tesoro dei consigli dei cuochi che hanno legato il nome al ristorante?

R. Certo, io da lì ho copiato: dal fondatore Vittorio Zurla con gli altri cuochi che hanno creato il successo di Al Pappagallo, in particolare gli eredi dei fratelli Zurla e Bruno Tasselli, Ermes Landuzzi e Anna Gennari

D. Vorrei sapere da te, che sei il patròn, se credi nell’importanza del ruolo che ha la ‘sala’ nella ristorazione.

R. Certo, la sala è fondamentale! Soprattutto adesso che, come ti dicevo prima, mi sono messo in gioco direttamente con cuochi giovani – perché in quel momento volevo mettere la mia impronta e non avevo bisogno di “professori” come Marcello – cosa che invece oggi mi serve. La stessa cosa l’ho fatta nella sala.

Non nego che sono partito subito dalla cura della sala, non tanto perché ho scommesso sui giovani cercando di risollevare il deficit di professionalità che scuole, comune, città e cultura danno a questi ragazzi; quanto perché una esperienza senior occorre. Ma ho anche pensato: se devo prendere un posto decaduto dal suo prestigio ho bisogno di giovani. Assumendo gente della mia età, e di senior ci sono già io, tanto valeva lasciarlo ammuffire dov’era. Questi ragazzi crescono e ti danno tantissimo, poi sarà perché sono genitore e ho un figlio di 22 anni nei confronti del quale mi sento responsabilizzato; la mia convinzione è che se ai giovani non diamo fiducia ora, come fanno a diventare forti nel futuro? Se io non servo a insegnare qualcosa a un giovane, cosa vivo a fare?

D. Facciamo anche quattro conti, quelli che con gli chef non riesco mai a fare ma mi auguro che con te, imprenditore, qualche dato realistico lo potremo avere…

R. Il momento è giusto perché sono quasi tre anni che abbiamo preso Al Pappagallo triplicando il fatturato iniziale d’acquisto nel luglio del 2018, un anno solare esatto. Mi dispiace se non si capisce il sacrificio che abbiamo fatto qui dentro fino ad oggi, lavorando a testa bassa giorno e notte sia le domeniche che Natale, Capodanno e Pasqua, per cercare di ridare alla città questo luogo sacro, questo ‘tempio’! Oggi, con l’avvento di Marcello Leoni in cucina, mi sento più sereno perché io sono arrivato fino a lì e adesso ho la necessità di elevare l’offerta e ho Marcello, più un altro mio amico sommelier di sala Filippo Gaddoni, con una lunga esperienza fatta al San Domenico. Per l’esperienza che ho avuto io, i rapporti migliori sono sempre stati quelli consulenziali che si sono sempre tramutati in amicizie perché non limitano la libertà e danno responsabilità e rispetto.

D. La scelta di andare su Marcello Leoni, chef di grande esperienza ed ottimo livello quale è stata?

R. La scelta di Marcello è stata casuale, lo conoscevo di nome, ha avuto locali a Bologna, non ho mai approfondito la sua conoscenza, come non l’ho fatto su Poggi, come su tanti altri, allora ero semplicemente cliente. Mi è stato presentato da Giancarlo Roversi ad una degustazione di olii. Quando ci siamo conosciuti è stato un incontro importante e gli ho detto: “Guarda, potrei avere bisogno di te”. Cominciavo a capire che mi serviva una persona esperta, ma che fosse vicina alle mie logiche di cucina, cioè di cucina solida. Che non me ne vogliano: con tutto il rispetto per soffi, schiume e quant’altro, ma non è cucina!”

D. Qualità e materie prime: oggi se ne parla sin troppo,  ma  troppo  spesso resta l’amaro in bocca…

R. Per la cultura che ho della gastronomia bolognese, io non potrò mai dare al cliente la mortadella o lo stracchino o il culatello o il prosciutto di serie B, perché li vado a selezionare personalmente. Non farò mai una sfoglia di serie B perché ho due sfogline che lavorano solo per fare la pasta. Finché non ho raggiunto l’obiettivo che mi sono prefissato, che poi è ciò che provavo da bambino sotto al palato, non arresto la mia ricerca continua. Io punto sulla qualità: sulla macelleria più famosa della città, sulle materie prime come i pollami della Macelleria Ranocchi, che vengono da un allevamento non intensivo.

D. L’offerta del menu è su carne, su pesce od entrambi?

R. Entrambi. La carne la scelgo io: per quanto riguarda le carni di manzo ho sempre usato quella di Fassona piemontese, sempre con un’attenzione estrema agli allevamenti. Poi mi avvalgo di due distributori importanti, Selecta e Longino, perché ciascuno ha le proprie specialità. Ovviamente mi confronto sempre anche con Marcello e per quanto riguarda il pesce cerchiamo di capire cosa richiede il mercato e per questo selezioniamo sempre il pesce migliore offrendo inoltre; ai nostri clienti anche piatti vegetariani. Bisogna fare attenzione a tutto, si deve salvaguardare la professionalità e la propria  identità  sulla  piazza,  portando  in  alto l’importante bandiera della qualità che è Al Pappagallo.

D. Per concludere un’ultima domanda a Michele Pettinicchio. Purtroppo oggi spesso pare che il ristoratore non debba avere alcun dovere nei confronti dei suoi clienti, che ne pensi?

R. Il dovere di un ristoratore è dare da mangiare al cliente il massimo della qualità possibile e servirlo al meglio delle proprie possibilità. Dargli la coccola giusta, perché lui entra da te, spende dei soldi ed è direi deontologico usare questo tipo di approccio. Secondo me senz’altro Al Pappagallo si merita il riconoscimento della Stella perché è davvero l’unico locale centenario, il locale di Bologna più conosciuto nel mondo!

Chi scrive non può che convincere dopo il test di assaggi, iniziati con alcuni antipasti assortiti: a cominciare dall’introvabile (in città) Galantina di cappone classica con zabaione salato e coriandoli di giardiniera, per arrivare alla Capasanta e vongole al vapore, cavolfiore e topinambur con gocce di mortadella, o al pesce come il Baccalà mantecato con brodetto di porri e francobolli di patate al tartufo nero, un altro piatto recuperato dalla tradizione e di cui qui si era persa completamente traccia!

Per quanto riguarda i primi, le proposte sono varie, tutte ad altissimo livello: dagli eccellenti Tortellini (quelli che nel 2019 hanno ricevuto il prestigioso premio internazionale “Tortellino d’Oro) – quelli ‘al mignolo’, piccoli e ricchi di ripieno – cotti benissimo in un meraviglioso brodo di cappone, ad una Tagliatella al ragù bolognese superba, come a Bologna non ricordavo da anni; e ancora le ritrovate Lasagne goccia d’oro, per arrivare alla Cotoletta alla bolognese di vitello, con osso, morbida e ricca di parmigiano con friggione  al  Campari, o il Petto di faraona farcito e coscia con polenta fritta e salsa al prosciutto di Praga.

Immancabile e indimenticabile l’eccellente e tenerissimo Brasato di guancia di manzo con purè di patate. Sul pesce l’audace abbinamento dei Passatelli vongole scampi olive taggiasche e pomodoro fresco crudo di gamberi rossi sta incontrando grandi consensi, come l’entrée Wafer di baccalà mantecato!

Alta cucina che mi riporta, sia per la cura e la preparazione seguita nei minimi dettagli sia per la qualità dei prodotti – che fanno assolutamente la differenza – ad anni lontani, gli anni d’Oro di questo locale.

La parola allo chef Marcello Leoni

Ecco che esce dalla cucina lo chef, ne approfitto per fare qualche domanda a Marcello Leoni, grande nome della ristorazione bolognese, chef apprezzato da tanti anni. Ed ora è qui, nel tempio della bolognesità…

R. Questo mestiere lo faccio dall’82, quindi sono 37/38 anni. Sono passato dalle tre stelle col Trigabolo di Argenta all’una con la trattoria del Sole di Trebbo, con un’esperienza al fianco di Gianfranco Vissani. Periodi magici, quando ho iniziato ero un ragazzino in mezzo a questi talenti che hanno fatto la storia ed ho vissuto con loro per 25 anni; adesso che ne son passati quasi 40 cominciano a mancare, da Gualtiero Marchesi a Giorgio Delai, scomparso da poco, piuttosto che Alessio Alberè o Gianmaria Moliesi; ora ho cinquantuno anni e questi erano già ragazzi quando io ero un bambino.

D. Che cosa ti ha lasciato questo confronto: tu giovane accanto a questi grandi nomi?

R. Mi hanno lasciato il vuoto. Ancora adesso ogni tanto Gianfranco mi telefona giusto per il gusto di chiacchierare di cucina. Purtroppo in questo momento, in cui l’apparire conta più di tutto, a tanti chef mancano delle basi che sono state il nostro abbecedario. Ora, in un posto come questo, diventa un vantaggio perché non parliamo tutti di cucina. Credo che la confusione che c’è adesso, vent’anni fa non ci fosse; la sovraesposizione mediatica non porta informazione. Come il problema della sala: se ci fosse qualche maniera di dare lustro alla sala quanto è stato dato in questo periodo alla cucina credo che magari si troverebbero forse persone propense a fare questo lavoro con un forte senso etico che tale ruolo richiede.

D. Come è stato impostato il lavoro qui da che sei arrivato, cioè da pochi mesi?

R. In questo locale sono nati dei piatti che sono diventati patrimonio della città. Quindi tutto quello che viene apportato da parte mia e da Michele, è un lavoro di studio e ricerca molto approfonditi, perché è importante calarsi nel percorso storico per rivalutare – senza dovere per forza stupire – per cercare la professionalità e la  qualità  che  un  tempo  era   lo   standard.  Perché poi tutto deve tornare: cioè mettere la storicità della conoscenza delle tecniche di cucina a servizio della storicità  di  un  contesto  come  questo. Qui non serve fare un piatto che fa scintille e poi magari scivolare sugli altri… tutto deve avere un senso, una coerenza; tutto deve avere un contesto. Si sta costruendo un percorso tenendo conto di che cos’è, di cosa  c’è stato e di cosa dovrà essere.

D. Tu che hai una cultura dei prodotti e che hai fatto molte esperienze, da Vissani e al Sole con tuo fratello, vi eravate distinti sia per questo, sia    per una buona invenzione nei piatti: qui invece?

R. La cucina creativa non la fai perché oggi va questa tipologia, ma la fai perché hai una conoscenza tale  che  a  un  certo  punto  vuoi  andare  oltre, superare la mediocrità! Mi spiego meglio: a Bologna noi dovremmo avere le macchine che ci tritano la carne di una dimensione che in commercio ormai non fanno più: se a Bologna non è possibile avere una trafila del 12 per poter tagliare la carne del ragù vuol dire che qui il ragù non lo sta facendo più nessuno! Per chi non lo sa, la mia cucina creativa partiva dalla profondità della tradizione, che era allucinante! Quando ero al ‘Sole’ dicevo: “per me la lasagna sarà il mio punto d’arrivo” e alla fine ce la stavo anche facendo con i tortellini, come con i passatelli; partendo però da Gianfranco e da un locale, perché Bologna, fino a vent’anni fa, aveva un po’ più di rispetto della propria tradizione anche se era  già  tutto  annacquato… succedeva che  io  partivo da Gianfranco e arrivavo a Trebbo: cosa mi mettevo a fare il tradizionale? Allora era così presente nei locali da giustificare il viaggio fino a Trebbo?

D. Al Sole col fratello il vostro duo si distingueva per la grande conoscenza del prodotto ed una buona stravaganza. Come giudichi la tua ‘nuova’ esperienza?

R. Io sono molto contento, è stata una fortuna avere incontrato Michele, tornare a Bologna, trovo anche conoscenze che avevo prima di lasciare la città e questo fa sempre piacere. I clienti sanno che c’è un rapporto di amicizia e confidenza, ho sempre detto che siamo i primi a dover far stare bene i nostri clienti e ottenere il loro rispetto e la loro fiducia.

Info: Ristorante Al Pappagallo – Piazza della Mercanzia, 3, Bologna -Email: ristorante@alpappagallo.it – web: www.alpappagallo.it