Essere Terra. Il racconto avventura di un viaggio verso l’Afghanistan nel libro di Lorenzo Merlo

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Lorenzo Merlo, giornalista, fotografo, guida alpina, viaggiatore e ora scrittore. Una vita passata a guardarsi intorno per capire dove nascono e si nascondono gli equivoci che spezzano i rapporti tra le persone, tra i popoli, tra le culture.  Ha scritto un libro dal titolo Essere Terra. Viaggio verso l’Afghanistan e vi presentiamo qui in anteprima alcuni punti salienti della sua pubblicazione. L’autore racconta il viaggio in macchina da Milano a Kabul e ritorno, eseguito da solo nell’estate 2012: 23.000 km, 113 giorni, ‘Verso’ in quanto non era possibile essere certi di arrivarci, di entrarci, di percorrerlo e uscirne.

Forse mai neppure pensato da altri. Che dire sennò dell’idea di attraversare questo paese da quasi quarant’anni in conflitto, prima per cacciare i sovietici, poi in una guerra civile e ancora oggi, per mano dei talebani, in parte contro la coalizione delle forze occidentali e in parte contro le forze governative.

Da sempre interessato alla guerra, come una delle un’area dell’uomo che non ci si può accontentare di conoscere dal divano, Lorenzo compie diversi viaggi, prima nella ex- Jugoslavia e poi, dal 2005 inizia a frequentare l’Afghanistan talebano.  Per non fotografare e basta, segue l’attualità e inizia a studiare la storia e le culture. La ricerca si presenta enorme, ma riesce comunque a farsi un quadro di massima attendibile per interpretare opportunamente quanto vede e sente sul campo.

Tre autori, a suo parere, tanto meravigliosi per comprendere le culture afghane, quanto misconosciuti al pubblico italiano, che avevano viaggiato sulle loro auto tra gli anni 30 e 50 del secolo scorso, gli accendono la scintilla di andare fino a Kabul seguendo le loro tracce.  Non era il viaggio lo scopo del progetto, bensì un libro, da scrivere al rientro, se tutto fosse andato bene, in cui avrebbe sì narrato del viaggio stesso, ma senza rinunciare a citare brani di quei tre libri con il preciso scopo di rendergli il giusto merito. Per il pionierismo del loro viaggio, la qualità e l’intensità della scrittura e per le considerazioni geopolitiche che farebbero impallidire i diplomatici di oggi. Con l’aiuto di una persona, impiega quasi un anno a organizzare il viaggio e quattro mesi per compierlo tenendo conto anche del ritorno in Europa.  Fin dal primo momento, la precarietà e “l’assurdità” del progetto sono rimaste sempre alla finestra nello svolgersi delle giornate, pronte a scendere in strada e complicare le cose. 

Come poteva essere certo di arrivare alla frontiera afghana, di riuscire a entrare, di arrivare fino a Kabul e anche di uscire incolume dal Paese?  Nessuno poteva sollevarlo da quelle preoccupazioni. Solo la permanenza della sua visione, più estetica che coraggiosa, gli hanno permesso di non cadere nello sconforto dell’incertezza.

Essere Terra – Viaggio verso l’Afghanistan narra il viaggio fino all’uscita a nord dell’Afghanistan. Il libro termina proprio sul ponte che scavalca l’Hamu Darya, lo storico fiume che raccogliendo le acque dai ghiacciai del Pamir, alimentava il lago Aral, prima che i piani agricolo-industriali messi in atto dall’Unione sovietica non destinassero gran parte dell’acqua alle coltivazioni di cotone, realizzandone così il prosciugamento.

Quel ponte era lo stesso che le truppe sovietiche dovettero percorrere a ritroso dopo dieci anni di occupazione del Paese. Da allora simbolo della vittoria dei poveri mujahiddin contro i supereroi sciuravì, come in Afghanistan chiamavano i sovietici. Quel fiume, una volta noto con il nome di Oxus, per centinaia e centinaia di anni era stato il limite del mondo conosciuto in occidente. Al di là, nelle loro mappe si estendeva una grande distesa senza forme, inesplorata, genericamente chiamata Turkestan, in cui campeggiavano scritte come hic sunt dracones o hic sunt leones. Una formula, all’epoca utilizzata anche per i territori africani, che alludeva a zone mai viste dall’uomo cosiddetto civile.

Tutto era iniziato alla fine di maggio del 2012. Lorenzo era partito con Sandro, ma di lì a breve si separano. Differenti concezioni del viaggiare li rendono incompatibili. Dopo i Balcani, e la Turchia e dopo aver conosciuto l’Anatolia occidentale, sale al Mar Nero e ne percorre le sponde meridionali fino a Trabson, Trebisonda. Scende giù verso il Kurdistan per vedere ancora in piedi la Dyiarbakir storica, poi in gran parte distrutta dalla recente guerra Siriana. Visita il lago Van all’estremità orientale della Turchia. Attraversa l’Iran e scopre che non tutto il territorio è così affascinante come si racconta. Visita la nazione curda del paese, risale a Teheran che dice essere quasi un continente. Prosegue a nord per conoscere le sponde meridionali del mar Caspio.

Raggiunge la Torre di Gonbad e Gabus, un punto interessante per tutti gli studiosi, a cui dedica pagine del libro, dove, vengono sciolte alcune equivoche interpretazioni, sul significato e sulle scritte riportate sulla torre stessa.

Un chiarimento scientifico divulgato per la prima volta nella letteratura comune. In quella zona iniziano le steppe desertiche che lo condurranno fino alla città santa di Mashhad e poi al confine con l’Afghanistan. La narrazione del passaggio di confine è lunga come le ore della realtà là vissuta, ma avvincente, e a suo modo sospesa: il sogno di Lorenzo si stava realizzando. Arriva a Herat dove sa che sarà proprio quello è il punto in cui potrà definitivamente rinunciare a Kabul o trovare il modo per raggiungerla. Tutte le informazioni che raccoglie sono negative a riguardo.

Arrivare a Kabul, per tutti è impossibile, mortale, a maggior ragione guidando un mezzo personale.  Sembrava impossibile, ma ugualmente si chiedeva se era il caso di non dare ascolto a quelle voci e provarci ugualmente. L’aiuto di un amico giornalista locale, contattato per merito del professor Marco Lombardi, gli apre la collaborazione della polizia. Con una scorta, rinnovata di distretto in distretto, senza dover pagare nulla e senza essere tradito dalla polizia stessa come in passato era accaduto ad altre persone, attraversa le montagne dell’Hindu Kush seguendo la via Centrale, la Central Route, la strada più mitica d’Afghanistan. Proprio in centro alle montagne, i militari italiani scoprono che un italiano si trovava lì con la sua macchina, da solo, lo fanno arrestare dalla polizia locale.

Il successivo giorno riceve una telefonata dall’ambasciata italiana in cui una sola frase è sufficiente a cambiare da quel momento il registro del viaggio, dei sentimenti, dello stato d’animo e della condizione psicologica di Lorenzo. “So che lei è stato arrestato dalla polizia afghana” dice la voce di una funzionaria dell’ambasciata italiana all’altro capo del telefono. Lorenzo sapeva come stavano le cose. Non era vero, era un ordine partito da Herat, dal comando militare italiano. “Lei deve lasciare l’auto e venire subito a Kabul in aereo” proseguì la donna. Ma Lorenzo non ci vedeva dalla rabbia. Si sentiva tradito, proprio dai suoi connazionali. Non perché si preoccupassero per lui ma per non avergli mai chiesto, neppure successivamente, quali consapevolezze e preparazione avesse sui rischi che stava correndo. Non dare dignità alle persone, concepirle come oggetti di cui disporre, fu troppo.

La vicenda con l’Ambasciata italiana, come Lorenzo scrive nel libro, scorre come un thriller dai ritmi asiatici. Da quella telefonata, l’entusiasmo, e l’amore per l’Afghanistan, crollarono insieme al suo stato emotivo, già indebolito dalla durezza del viaggio.  L’ambasciata ha continuato a sorvegliarlo fino alla sua uscita dal ponte sull’Oxsus, al di là del quale avrebbe conosciuto nuove terre.

Rimane comunque un viaggio straordinariamente esclusivo, ovviamente bello, decisamente dentro i rischi peggiori.

Lorenzo Merlo, è l’ideatore del progetto e l’esecutore del viaggio nonché autore de ‘Essere Terra’. Prospero Editore, 1a ed. 2019 illustrato, pagine 532, Eu 24. Pubblicista, fotografo, guida alpina, già autore de ‘Afghanistan. Fede. Cuore. Ragione’, Milano 2011.

Info: www.victoryproject.net

Referenze fotografiche :

  • Immagine in copertina: Paghman, est Afghanistan. Una ragazza aimaq, rientra a casa sofferente dopo una giornata di lavoro.
  • Immagine n.1: Herat, Afghanistan, all’interno della grande moschea. La meraviglia per qualcuno interessato a a lui.
  • Immagine n.2: Diyarbakir, capitale del Kurdistan turco. In un vicolo del quartiere storico entro le mura di basalto nero della città vecchia, ora in buona parte rasa al suolo dalla recente guerra siriana.
  • Immagine n.3: Kabul, Afghanistan. Per quanto in città si possano incontrare anche numerose donne emancipate nei confronti della più e rigida morale islamica, non mancano anchge molte presenze tradizionali.
  • Immagine n.4 : Turchia orientale, Doğubeyazıt, Palazzo Ishak Pasha. Uno dei palazzi ottomani più belli e romantici.  Completato nel 1784 dopo quasi un secolo di lavori. 
  • Immagine n.5 : Bamyian, Afghanistan centrale. In questo territorio regno degli hazara, percentualmente la terza etnia afghana, c’erano i noti buddha scolpiti nella paerete di conglomerato, poi distrutti dai talebani.
  • Immagine n.6 : Tabriz, Iran occidentale. Una ragazza con mio grande stupore ha accettato di farsi riprendere a volto scoperto. La vicenda è descritta nel capitolo Dea della moschea.

 

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