Gerico, Betlemme, Gerusalemme, Hebron e le comunità della Palestina

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Un viaggio in Palestina ci introduce in un paese dove convivono una straordinaria varietà di gruppi di differente origine, nazionalità, cultura, religione. Il tessuto arabo accoglie un variopinto puzzle di comunità religiose, gruppi etnici, campi di rifugiati, tribù beduine, monaci, che rendono gli incontri ricchi di stimoli. Soprattutto al sud sono fiorite e si sono affermate molte di queste comunità, protette dal deserto di Giuda, dove le individualità convivono con il gruppo raccolto attorno a un obiettivo comune.

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Mappa: https://goo.gl/maps/g17f1EbNvn85D3PZA

1° giorno: arrivo a Gerico 

Siamo arrivati dall’aeroporto di Tel Aviv direttamente a Gerico in un bell’albergo con piscina. La sera, le molte portate della tipica cena araba sono terminate con la “regale” baklava, il dolce arabo più famoso, di pasta fillo con noci e frutta secca legate da uno sciroppo a base di miele. Non l’abbiamo solo gustata ma abbiamo anche partecipato alla sua realizzazione sotto la guida dello chef. E’ la prima tappa del percorso culinario che affiancherà le scoperte culturali e esperienziali del nostro viaggio.

2° giorno: Gerico e i suoi affascinanti dintorni

Al mattino, abbiamo goduto la salita in teleferica al Monastero delle Tentazioni, con una splendida vista sulla città e sul deserto, dove, secondo la leggenda, è ambientato il passo evangelico delle tentazioni di Gesù da parte di Satana. Il ritorno è ricco di interesse a partire dall’irrinunciabile passeggiata sui sentieri organizzati del sito archeologico di Tel Es- Sultan, l’originaria fondazione della città nell’8° millennio aC, e al vicino osservatorio Ornitologico. 

Panorama di Gerico

Segue un’altra sosta nel campo di Ein Es-Sultan, costruito a cura dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) per i profughi fuggiti o espulsi dalle case dopo la sconfitta del 1948. I Palestinesi nel campo, originariamente 20.000, dopo la guerra dei 6 giorni (1967), andarono in massa in Giordania per fuggire all’occupazione israeliana dei confini.

Le signore del Women’s Centre ci spiegano che ora non hanno più molti dei problemi degli altri campi confinati in spazi chiusi dove la natalità li costringe a espandersi in verticale con crisi di spazi, di viabilità, di servizi, di infrastrutture. Peraltro, anche in Ein Es-Sultan soffrono per mancanza di lavoro, carenti servizi idrici e fognari e vivono anch’essi grazie agli aiuti economici e alimentari dell’UNRWA. Questa ha anche contribuito a finanziare la costruzione, l’arredo e la gestione di una scuola mista in grado di accogliere fino a 1.000 studenti. 

Le donne del Centro si dedicano soprattutto all’artigianato e alla cucina per la comunità e la scuola dove eccellono. Producono in proprio anche il maftoul (il cous-cous palestinese) più buono del mondo. “Ma siete sicure che sia proprio il più buono?” “Abbiamo vinto il primo premio al concorso di Mazara del Vallo e se ci hanno premiato gli italiani è di sicuro il più buono”. Lo gustiamo e dobbiamo riconoscere che è proprio eccezionale. 

Sul Monte delle Tentazioni

Prima di rientrare in città, ci aspettano i mosaici dell’Hisham’s palace, notevole esempio di architettura islamica antica, costruito nell’8° secolo dC dai califfi Umayadi come luogo di riposo invernale.

Gerico è l’unica città palestinese visitabile in bicicletta e il nostro gruppo non si lascia sfuggire l’occasione per visitare in bici il centro della città con l’antico zuccherificio, le rovine dell’antica sinagoga costruita nel 7° secolo, l’albero dove secondo la tradizione si rifugiò il corrotto esattore Zaccheo per vedere Gesù che lo fece scendere per pranzare da lui e accoglierlo poi tra i suoi fedeli.  Prima di cena c’è ancora tempo per una visita al Centro del Mosaico, dove l’esposizione della tecnica mosaicale e un breve workshop consente di fare un esercizio di costruzione di un facile souvenir. 

3° giorno: da Gerico a Beit Sahour attraverso le gemme del deserto: St. Giorgio di Koziba, Nabi Musa, Mar Saba

Grotte di eremiti a Wadi Qelt presso S.Giorgio Koziba

Il giorno successivo è dedicato alle comunità del deserto di Giuda. Una comoda discesa lungo l’aspro Wadi Qelt ci porta dal parcheggio al monastero di S. Giorgio di Koziba, costruito nel 480 dC per raccogliere nelle funzioni comuni i molti eremiti che vivevano in grotte entro le aspre pareti della valle. Fu distrutto e i monaci-eremiti uccisi dagli invasori Persiani nel 614, ricostruito dai Bizantini nel 1179 e finalmente restaurato nel 1911.  Le grotte che contornano il monastero fanno capire l’ascetismo degli eremiti e la loro scelta di vivere lontano dai comforts e favorire la crescita  spirituale, la carità e la contemplazione. 

Nabi Musa: il cortile della moschea

Ci dirigiamo verso il sito religioso islamico di Nabi Musa, un tempo meta di pellegrinaggio, ora vietato. Fu chiamato con il nome di Mosé da Salah Ed-Din che lo costruì nel 12° secolo dove Mosé stesso gli aveva in sogno rivelato che Allah aveva seppellito il suo corpo. Là, l’incontro con l’imam nel silenzio del deserto, di fronte a una collina cosparsa di tombe islamiche, vien naturale un confronto con gli eremiti cristiani del Wadi Qelt e una riflessione sulle affinità spirituali di religioni formalmente distanti.

Mar Saba: Monastero ortodosso punto di riferimento degli eremiti

Il percorso continua fino a Mar Saba, un altro monastero ortodosso, un tempo anch’esso punto di raccolta di eremiti, dove un religioso ci illustra gli eremiti e il loro modo di vìvere, lavorare, pregare da soli e in comune, assistere gli altri. Dopo la successiva visita del palazzo Herodion, costruito da Erode il Grande sulla collina, arriviamo a Beit Sahour, una cittadina con un piccolo ma elegante centro in stile Palestinese-Ottomano, dove in località diverse fu identificato il campo a cui i pastori videro e seguirono la stella fino alla grotta della natività. Nel sito indicato dagli ortodossi vi sono i resti di un’antichissima chiesa, a protezione della quale ne è stata costruita nel 1989 un’altra in stile bizantino. 

Le signore della Arab Women Union di Beit Sahour ci consigliano caldamente di assistere al Shepherd Night Festival (23-25 Dicembre) con rappresentazioni folkloristiche per tutte le età. Ne parlano con entusiasmo proprio mentre prepariamo insieme con loro i “ma’moul”, piccoli dolci di semolino e pasta di datteri, noci e cannella, che la tradizione vuole siano serviti proprio durante eventi come il festival.

4° giorno: Betlemme 

Abbiamo raggiunto Betlemme presto al mattino per cogliere l’atmosfera di raccoglimento della Chiesa della Natività senza essere distratti dai molti fedeli-turisti e malgrado la ricchezza dei marmi, affreschi, mosaici che ornano gli altari, la grotta della natività, e il chiostro. La chiesa, costruita su un luogo di culto molto precedente alla nascita di Cristo, è il principale dei molti punti d’interesse, della città. 

Altri punti sono: la Grotta del Latte, dove secondo la leggenda, una roccia sarebbe stata sbianchita da una goccia di latte sfuggita dal seno della Vergine nell’allattamento del bambino; la Moschea di Omar; il Museo “Old Bethlehem Home” di oggetti di uso comune dei secoli passati gestito dall’Arab Women’s Union; il pozzo di Davide, da cui bevve il re durante l’assedio dei Filistei, il Palestinian Heritage Centre che conserva oggetti della tradizione palestinese. 

L’urbanistica originale della città si caratterizza per i suoi 7 quartieri antichi, tutto costruiti con pietra rosa palestinese, con archi, scale, pavimenti a lastroni. Vi vivono comunità di differente provenienza: da tribù nomadi trasferitesi da diverse zone della Palestina, della Giordania, della Siria, del Sudan. Solo una è islamica, le altre sono cristiane, ma i rapporti sono di aperta convivenza e collaborazione. Pernottiamo presso la sede locale dell’Arab Women Union, che non fa mancare la specialità gastronomica palestinese cui ci hanno abituato le precedenti soste. In questo caso gustiamo un piatto elaborato, alla cui preparazione e cottura come al solito partecipiamo: la Mulukhiyah prende il nome delle gustose foglie di malva di juta che insaporiscono la carne del pollo servita su un piatto di riso bianco e condita con olio e limone.

5° giorno: Hebron e ritorno a Gerusalemme attraverso i villaggi esperienziali di Mukhmas, Jaba’, Deir Dibwan e Deir Ammar

Presto al mattino percorriamo i 30 km tra vigneti, oliveti e frutteti fino a Hebron il “Retaggio dei Profeti”. In un ambiente così ricco di simboli religiosi quali le tombe dei patriarchi sacre per le tre “religioni del libro” si fronteggiano in modo spesso conflittuale la popolazione araba e i coloni ebrei che hanno occupato, oltre a insediamenti sulle colline attorno, anche il quartiere centrale di Al-Shuhada street. 

Hebron: Tombe dei Patriarchi

Percorriamo quest’ultima senza problemi diretti alle Tombe dei Patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe e le loro mogli) suddivise tra le adiacenti Ibrahimi Mosque e Machpela Synagogue, che visitiamo dopo aver superato il posto di blocco Israeliano. Non abbiamo tempo per una sosta nel locale hammam, ma non possiamo mancare la visita all’antico souk e ai mastri vetrai, ceramisti, scultori, tutti lieti di illustrarci il loro lavoro e i prodotti.

Mukhmas: Wadi Sawanit, una grotta

Nel pomeriggio, lungo il percorso che ci riporta a Gerusalemme facciamo una deviazione per incontrare un gruppo di borghi esperienziali che presentano molte sfaccettature della Palestina rurale. Incontriamo prima i due villaggi gemelli di Mukhmas e Jaba’. Mukhmas, antico villaggio agricolo di 2000 abitanti, ha subito, dopo il 1948 un rilevante flusso migratorio. I suoi figli espatriati ritornano di regola durante le vacanze estive nelle case rifatte o ristrutturate per rivivere la loro patria e reincontrare i parenti. Mohammed Al-Dal, la guida locale, ci accoglie con simpatia e ci introduce presso i punti di eccellenza: il santuario Sufi di Al-Dwaer, la Moschea del Sultano Ibrahim, l’aspra bellissima valle di Al Swaneet che in due giorni di tranquillo cammino porta direttamente a Gerico. Francamente ci dispiace di non aver tempo di seguire il sentiero tra le rocce e sfiorare le grotte degli eremiti che in tempi più antichi servivano anche come rifugio contro le scorrerie dei predoni.

Jaba’: Il soffiatore di vetro

A poca distanza arriviamo a Jaba’, un villaggio di 3.000 abitanti. Nehaya ci fa prima visitare la parte antica del borgo sulla collina, arricchitasi nel 18° e 19° secolo di edifici nella tipica pietra rosa palestinese che circondano la torre dell’antico castello costruito dai crociati su un edificio romano. Questi ultimi, nelle spedizioni per liberare i Luoghi Santi, consideravano loro feudi le terre arabe conquistate e vi costruivano castelli da cui dominare le terre conquistate e proteggere i pellegrini e chiese per le comunità cristiane locali. Alla torre rimasta è collegato un tunnel, ora chiuso, per nascondere le famiglie in caso di attacchi. La guida ci fa poi incontrare, al villaggio, nella sua bottega, il soffiatore di vetro che non si limita a illustrarci il ciclo di lavoro, ma ci assiste nel modellare, soffiando nel cannello, la bacchetta di vetro scaldata alla fiamma viva del gas. Prima di partire, sostiamo presso la Jaba’ Women Association, dove la presidentessa, Siham Bisharat ci illustra il loro procedimento per conservare sotto vetro olive, frutta, spezie.

Deir Dibwan: Sito Cananeo di Tal AI

La tappa successiva ci porta a Deir Dibwan, dove l’esperto Mahmood ci conduce al sito archeologico El Tel, uno dei più importanti centri della civiltà cananea. Rapisce la narrazione della guida sulla vita che si svolgeva nelle case private, nei negozi ma anche nel tempio e nel palazzo reale, protetti dalle mura fortificate intervallate dalle torri. Il racconto termina tragicamente con la totale distruzione della città e l’uccisione dei 12.000 abitanti, nel 1200 aC da parte degli Israeliti condotti da Gedeone, che segna la fine della civiltà cananea.

Nel villaggio, Subreen Toha. la direttrice, ci fa visitare il piccolo museo dove sono raccolti mobili, abiti, suppellettili, arnesi, quadri, foto, di una tipica casa dell’ultimo periodo del dominio ottomano. Prima di partire, siamo indirizzati alla bottega di Fadi il pasticciere, che s’impegna nell’insegnarci a cucinare uno dei più buoni dolci tipici della gastronomia palestinese, il kullaj. Sono strati di sottilissima pasta fillo alternati a crema di formaggio salato insaporito con uno schizzo di sciroppo e ricoperto di pistacchi verdi frantumati. Una vera delizia.

Deir Ammar: Mausoleo del venerato Sufi Gaith

Segue una sosta presso Deir Ammar, un borgo ricco di punti di interesse: la città vecchia sulla collina con le abitazioni in corso di ristrutturazione; il santuario del profeta Sufi Ghaith, il bagno turco con caffetteria, l’immancabile Deir Ammar Women Association. Il borgo occupa due colline immerse nella splendida valle Wadi Natuf, che ha dato il nome alla civiltà Natufiana, ancora più antica di quella cananea, e di cui sono stati trovati qui reperti di grande interesse archeologico. Tutto intorno al villaggio corre il sentiero dei pozzi, che tocca molte fontane, in gran parte di origine romana. Seguiamo il percorso immersi in una natura ricca di vegetazione e  coltivazioni. Ci fermiamo a prendere il tè con Ramadan Abu Kamesh, un contadino che coltiva zucche verdi e olive, in grado di illustrarci la situazione dei villaggi rurali, i loro problemi e i difficili rapporti con gli insediamenti posti sulle colline attorno a Deir Ammar.

Ceniamo “al sacco” e pernottiamo nel vicino campo di nomadi, riuniti in due tende differenti per uomini e per donne. E’ l’occasione sperata di farci raccontare da loro la provenienza, la storia, le tradizioni, le difficoltà cresciute negli ultimi decenni. I Beduini nomadi sono infatti molto diminuiti a causa dei vincoli posti dai governi per controllare i confini e imbrigliare gruppi sociali come i loro, alieni a norme e regolamenti politici, legali, sociali, sanitari, educativi. Ormai, molti di loro si sono trasferiti nelle città attirati da una vita più facile e con migliori prospettive economiche. Hanno tuttavia mantenuto le loro tradizioni e espressioni culturali: lo spirito indipendente e libertario, la struttura sociale fortemente radicata nella famiglia, nel clan, nella tribù e il loro sistema giuridico basato sul codice d’onore. 

6° – 7°  giorno: Gerusalemme

Gerusalemme: angolo del quartiere cristiano visto dalle mura

Il mattino successivo partiamo per l’ultima tappa del nostro viaggio, Gerusalemme, dove nel primo giorno ci dedichiamo ai luoghi più iconici e significativi della città: Cristiani, Islamici ed Ebraici più i Siti culturali.

Dedichiamo il secondo giorno a capire il cosmopolitismo della città incontrando alcune delle molte comunità all’interno e all’esterno delle mura in Gerusalemme Est (araba) e Ovest (ebrea). Ci interessa sapere i motivi per cui sono presenti a Gerusalemme e i loro rapporti con le altre comunità. Incominciamo dalla Domari Society (Gypsies, Rom). Nel loro peregrinare si sono installati a Gerusalemme parlando  la lingua Domari, vivendo prevalentemente di questua, piccoli lavori, vendita di oggetti di artigianato, ricami e gioielli, proponendo la loro gastronomia e adottando la religione islamica e l’arabo. L’occupazione e il maggior controllo sociale degli Israeliani hanno indotto molti a emigrare in Giordania, Siria e Iraq. Il migliaio rimasto si è organizzato per sviluppare i giovani a integrarsi di più nella società, seguire studi regolari, evitare la marginalizzazione sociale sopportata dagli antenati. 

Completamente differente è l’atteggiamento della seconda comunità che abbiamo incontrato: gli ebrei ultra-ortodossi Haredi che occupano un quartiere di Gerusalemme Ovest. Seguono rigidamente le norme  Halasha (il Gruppo di norme religiose derivate dalla Torah scritta e orale). Si sono organizzati per concentrare il loro impegno nello studio della Torah e nella preghiera, come mezzo per salvare spiritualmente non solo se stessi ma anche il mondo. 

Sono facilmente identificati dal loro abbigliamento e dall’atteggiamento continuo di preghiera e meditazione. La loro comunità è naturalmente cresciuta e si è consolidata dopo l’occupazione israeliana della città, ma rifuggono i contatti con estranei alla loro religione. Ci hanno accolti con gentilezza, ma hanno risposto con sospetto alle nostre domande e offerte di amicizia, a cui sono disinteressati. La comunità Armena è sicuramente quella più strutturata, attorno al Patriarcato con sede in Gerusalemme, nel quartiere armeno. L’Armenia costituisce dal punto di vista un’enclave etnica culturale e religioso circondata da nazioni islamiche e soprattutto hanno sofferto un sanguinoso genocidio da parte dei Turchi.  La vicinanza con le comunità cristiane (ortodosse, cattoliche e protestanti) è stata garanzia di sopravvivenza nel passato. L’occupazione Israeliana e i buoni rapporti di Israele con la Turchia, oltre alla minaccia strisciante dell’adiacente comunità ebraica all’interno delle mura, hanno accentuato le aperture verso gli altri riti cristiani. Ci hanno accolto benissimo. L’associazione Islamic Black African è formata prevalentemente da migranti di origine Somala o Etiopica, di religione musulmana. Sono arrivati a Gerusalemme attratti non solo dai luoghi santi per l’Islam, ma soprattutto dalle maggiori opportunità di lavoro. Si sono rivelati i più disponibili a illustrare i loro problemi di integrazione, di educazione e di salita della scala sociale. Sono aperti a tutte le fedi, parlano correntemente l’arabo e sono quelli che hanno risentito meno dell’occupazione israeliana. 

Quando alla sera ci riuniamo per la cena e per scambiarci le impressioni (e esporre gli acquisti) della giornata, siamo tutti così interessati che quasi non poniamo attenzione alle ultime portate gastronomiche offerte dall’hotel: kusa mahshe, zucchini ripieni di riso, carne cotti in salsa di pomodoro e per finire il piatto regale dei Beduini, il mansaf, agnello cotto in una salsa di yoghurt fermentato e servito con riso.

8° giorno: Da Gerusalemme all’aeroporto e ritorno a casa

E’ il giorno del ritorno a casa ed è tempo di riordinare le idee sulle molte nuove esperienze avute, sulle persone incontrate e sui loro indirizzi. Abbiamo fatto nostro un altro bagaglio di eventi, di idee, di spunti conoscenza di se stessi, di scoperta di una Palestina sconosciuta che da questo momento saremo interessati a seguire nei suoi felici e tristi eventi futuri.  

Claudia Dal Molin main@welcome2village.com

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