Giappone, Paese di contrasti. Dall’armonia dei giardini alla bellezza artificiale

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Il racconto di un noto chef toscano, che lavora da anni a Bologna, del suo interessante viaggio con la figlia. Due generazioni, il Giappone nel mezzo, tutto da scoprire

Il nostro viaggio inizia atterrando a Tokyo. Stiamo una notte nella capitale, in un albergo trovato all’ultimo minuto, poi partiamo diretti a Kyoto. Avevo scelto volontariamente di non prenotare nulla in anticipo, comesi faceva negli anni ‘80 e ‘90: si andava, si chiedeva, si viveva! Una scelta forse sbagliata oggi, ma per me era un modo per sentirmi libero. Vittoria, mia figlia, abituata alla programmazione digitale, era scioccata. Ma ci siamo divertiti, e tanto!! Abbiamo preso il treno proiettile, lo Shinkansen. Non tanto una meraviglia per l’estetica – alla fine un treno come tanti – ma per la puntualità, il servizio, il rispetto. Arriva in centro città, in due ore. Nessun ritardo. Mai. E se succede, rimborsano il biglietto. Altro che le nostre Frecce! Avevamo perfino sbagliato tragitto, e ci hanno semplicemente fatto integrare il biglietto con gentilezza.

Visita a Kyoto, atmosfere uniche all’insegna dell’armonia

A Kyoto ci sistemiamo in un B&B nel centro. La prima esperienza con i sentō, i bagni pubblici. Economici, spartani, separati per uomini e donne. Un rituale di pulizia e rinascita.

L’acqua aromatizzata con piante, camomilla, erbe marine, cultura, spiritualità. Non si può capire il Giappone senza conoscere il concetto di pulizia. Dal 1600 al 1868, nel periodo del Sakoku, il Giappone si isolò dal mondo. Avevano paura della nostra sporcizia. Mentre noi ci lavavamo ogni dieci giorni, loro lo facevano più volte al giorno. L’acqua vita, sacra, centrale.

Poi ci sono gli onsen, le terme naturali con acque termali calde, sono economici. Anche lì, divisione tra uomini e donne. E un’altra particolarità: se hai tatuaggi, spesso non puoi entrare. I tatuaggi sono ancora legati all’idea delle bande criminali.

A Kyoto viviamo la cerimonia del tè, nel silenzio di un tempio zen, che offre un’atmosfera unica, rilassante, davanti a un giardino zen. Il suono dell’acqua che incontra gli ostacoli nel giardino, lo stesso suono che si sente nel tè che viene versato con maestria. La spiritualità si tocca. Il tè, ovviamente il matcha. Non solo una bevanda, ma un universo. Una polvere verde, profumata, da cui si ricavano infusi delicati, erbacei, serviti con eleganza e precisione. A Vittoria è piaciuto moltissimo. Ha ispirato anche me a sperimentare nuovi usi dell’acqua e degli idrolati in cucina.

Il cibo in Giappone è patrimonio UNESCO. Non serve a sfamare, ma a nutrire. Ogni piatto segue la stagionalità. La soia ovunque, sotto mille forme. Il tofu neutro, ma capace di assorbire qualsiasi sapore: l’anima della cucina giapponese. Le fermentazioni sono fondamentali. Nulla viene lasciato al caso. La bellezza è parte del piatto, la disposizione arte. Il cibo giapponese una sinfonia: gusto, colore, consistenza, bellezza e maestria.

Kyoto è armonia: giardini, bonsai, alberi curati con precisione. Ogni cosa sembra ordinata, eppure dietro c’è un caos trattenuto, un’energia contenuta. Le campane tibetane lo ricordano: il silenzio e il suono convivono. In un equilibrio sottile. Il cosmo e il caos si intrecciano: sembra che il cosmo domini, ma poi arriva un rintocco, e il caos canta la sua gioia.

 

A Tokyo, la capitale avanza verso il consumismo

L’Ospitalità

A Tokyo ho vissuto esperienze alberghiere completamente diverse. Ho dormito in Capsule Hotel: letti incastrati uno sopra l’altro, bagno in comune, pochissimo spazio. Non il mio ideale, ma ho voluto provarci. Poi siamo finiti, senza saperlo, in un love hotel. La receptionist ci ha chiesto: Per quante ore? Elì abbiamo capito l’equivoco… Ci ha mostrato un catalogo con stanze a tema: sadomaso, medico, scuola: abbiamo riso tantissimo. Una esperienza surreale.

Il cibo spazzatura 

Ho scoperto il mondo del cibo industriale giapponese. KitKat con gusti assurdi: al matcha, al Philadelphia, alla patata dolce, al wasabi. Spaghetti al ketchup, un retaggio americano che ho assaggiato con diffidenza. A Tokyo si mangia ovunque, e per la maggior parte, street food industriale, con mille varianti colorate, strane, eccessive. E’ il regno del packaging e dell’effetto sorpresa.   

 

Riflessione sul cibo. Il cibo vero, quello della tradizione, è raro a Tokyo. Qui vige la cultura del cibo frammentata: molto take-away, molto precotto. A differenza di Kyoto, dove ogni piatto ha una storia, a Tokyo spesso il piatto ha solo una confezione. Eppure, con pazienza, si trovano angoli autentici.

Le città dentro la città

Tokyo anche la città delle imitazioni: ci siamo ritrovati sotto la Torre Eiffel e poi davanti alla Statua della Libertà. A Odaiba c’è persino il Ponte di Brooklyn. Sembra di viaggiare nel mondo in pochi chilometri. Tokyo è un collage, una follia ordinata. E’ come se volesse contenere tutte le città del mondo, come un parco giochi per adulti.

La bellezza artificiale e la verità autentica

Un’altra cosa che mi ha colpito a Tokyo è la tendenza di tante ragazze a voler assomigliare ai tratti somatici europei. Occhi allargati, pelle sbiancata, chirurgia estetica. Si trasformano in bamboline di porcellana, tutte uguali, come fiori di plastica. E lì, accanto a loro, c’era mia figlia. Vera. Autentica. Un’orchidea vera in mezzo a una natura tutta sintetica. La biodiversità incarnata.

Vorrei concludere il racconto di questo viaggio con un paragone musicale tra il cibo italiano e quello giapponese. L’Italia è l’opera: grande, teatrale, viscerale. Il cuore del tenore. Mentre il Giappone è teatro: precisione, ritmo, armonia. L’Italia ha il cuore, ma spesso perde la costanza, la disciplina, la continuità.

Il Giappone ha il ritmo, la tradizione, la compostezza. Due mondi diversi, ma entrambi affascinanti. Oggi anche il Giappone, guardando Tokyo, si sta affacciando al consumismo. Questo non voglio dire che sia un male, ma bisognerebbe avere più cura della nostra ruralità.

E forse, spero, che in questo viaggio io sia riuscito a trasmettere questo sentimento a mia figlia.

 

Cesare Marretti, autore di questo articolo, è uno chef eclettico e un comunicatore appassionato, noto anche per le sue apparizioni televisive. Si dedica da anni alla divulgazione di una cucina sana, stagionale e accessibile, affiancando alla pratica culinaria attività educative in scuole e centri sportivi. Autore di diversi libri, unisce tecnica, creatività e filosofia alimentare in un approccio che mette al centro salute, sostenibilità e piacere del cibo.