Riapre la stagione delle grandi mostre. A Bologna ‘Monet e gli impressionisti’ dal Museo Marmottan

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Dal 29 agosto 2020 è ripartita l’attività espositiva a Palazzo Albergati di Bologna con i 57 capolavori di Monet e dei maggiori esponenti dell’Impressionismo francese quali Manet, Renoir, Degas e molti altri, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, noto nel mondo per essere la “casa dei grandi Impressionisti” 

Un’anteprima assoluta dal momento che, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1934, il Museo parigino cede in prestito un corpus di opere uniche, molte delle quali mai esposte altrove nel mondo. La vernice per il folto gruppo di giornalisti provenienti da varie città italiane è stata particolare dato che questa mostra è una delle prime mostre che riaprono dopo il lookdown. 

“Era tutto pronto per l’inaugurazione prevista lo scorso 12 marzo, quando il dilagare della crisi sanitaria per il Covid – dichiara Iole Siena, Presidente del Gruppo Arthemisia (nella foto) – ha costretto i capolavori di Monet e dei più grandi Impressionisti a una brusca ritirata. Dopo cinque mesi il mondo non è più quello di prima e quello della cultura, particolarmente colpito dalla pandemia, sta vivendo una forte battuta d’arresto.

In questo contesto l’apertura di una mostra eccezionale come “Monet e gli Impressionisti. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi” va in controtendenza rispetto al panorama internazionale ed emoziona più del solito, perché aprirla significa gettare il cuore oltre l’ostacolo, superare paure e incertezze e prediligere l’interesse del pubblico rispetto al proprio.” È il messaggio che vogliono dare, insieme, il Musée Marmottan Monet e Arthemisia con la Regione Emilia Romagna rappresentata all’apertura dal Presidente Stefano Bonaccini (foto a lato) , che hanno lavorato duramente per poter riprogrammare la mostra, che si terrà sino al 14 febbraio 2021.

Prima Sezione della Mostra – Claude Monet: l’origine delle collezioni del Musée Marmottan Monet

Train in the Snow or The Locomotive, 1875

La residenza in cui Paul Marmottan conservava le suecollezioni, nel 16° arrondissement di Parigi, fu aperta al pubblico nel 1934 e negli anni novanta ha preso il nome di Musée Marmottan Monet. L’aggiunta del nome del grande maestro rispecchia l’arricchimento del museo, che oggi possiede la più vasta collezione di Monet al mondo. Questa raccolta eccezionale fu creata nel 1940 grazie in parte alla donazione di Victorine Donop de Monchy, il cui ritratto eseguito da Renoir (Ritratto di Victorine de Bellio, 1892) è esposto in mostra, che si apre con due dei capolavori di Monet donati da Victorine al museo: Il Ponte dell’Europa, Stazione Saint Lazare (1877) e Il treno nella neve. La locomotiva (1875). Successivamente, nel 1966, Michel Monet, figlio di Claude e ultimo discendente, nomina il Musée Marmottan erede universale dell’artista, rendendolo così il custode della più grande collezione al mondo di opere di Monet. Michel dona un centinaio di tele del padre, i cui pezzi più belli costituiscono il cuore della mostra e un busto di Monet eseguito da Paul Paulin, unica scultura in mostra.

Seconda sezione – Berthe Morisot al Musée Marmottan Monet

Madame Morisot

Già negli anni novanta, il Musée Marmottan Monet ospitava la prima collezione al mondo di opere di Berthe Morisot. Le opere furono offerte al Museo dai discendenti della figlia di Berthe e Ėugene Manet (fratello di Ėdouard), Julie Manet: questa sezione accoglie il suo ritratto, eseguito da Pierre-Auguste Renoir nel 1894 (Ritratto di Julie Manet) quando la fanciulla aveva sedici anni. Oltre ai capolavori di Berthe Morisot, il lascito di Annie Rouart (nuora di Julie) comprende le opere  di maestri e amici di famiglia come Camille Corot, Édouard Manet e gli altri colleghi impressionisti i cui capolavori presenti in mostra sono la testimonianza dei primi passi del movimento. In questa sezione l’opera Giove e Antiope (1856) di Manet evoca l’incontro di Berthe Morisot con Claude Monet avvenuto nel 1868 al Louvre mentre i due copiavano i capolavori del museo. Accanto il Ritratto di Berthe Morisot distesa (1876) a prova della sua attività di modella: posò infatti per Manet fino al 1874, anno del suo matrimonio con Eugène.

Terza Sezione – Dipingere en plein air

Qual è stato il contributo degli impressionisti alla storia dell’arte? In cosa si differenziano dai loro predecessori? Quale novità comunicano alle generazioni a venire? Essere impressionista significa soprattutto dipingere dal vero, uscire dallo studio e lavorare all’aperto, en plein air. Un simile approccio porta con sé numerose conseguenze. L’impressionista dipinge ciò che vede. Così facendo si allontana volutamente dalla tradizione della pittura religiosa e mitologica e dalle sue scene edificanti e idealizzate.

Dipingere dal vero comporta anche dover portare con sé l’attrezzatura: cavalletto, tavolozza, tubetti di colore e tela. L’artista predilige quindi i piccoli formati, facilmente trasportabili. Inoltre dipinge più velocemente, perché le sue ore di lavoro sono limitate, quindi l’esecuzione dell’opera è piuttosto rapida. Infine, non meno importante, l’impressionista lavora alla luce del giorno e i colori della sua tavolozza riflettono questo aspetto. Egli abbandona le tinte scure e cupe dei predecessori e adotta i colori chiari. In questa sezione opere come Paesaggio di Cagnes-sur-Mer (1905) di Renoir, Estate di San Martino, dintorni di Moret-sur-Loing (1891) di Sisley, Boulevard esterni, effetto di neve (1879) di Pisarro testimoniano il contributo degli impressionisti alla storia dell’arte e le novità trasmesse alle generazioni a venire.

Quarta sezione – La pittura di figura 

Promenade near Argenteuil, 1873

Per mettere in ridicolo la fattura libera e veloce dei dipinti di Monet e dei suoi amici, nel 1874 il critico Louis Leroy coniò il termine “impressionista”, ispirandosi al celebre dipinto di Monet Impression, soleil levant (Parigi, Musée Marmottan Monet). Dediti allo studio degli effetti atmosferici sui soggetti e sul paesaggio, gli impressionisti venivano regolarmente criticati da coloro che li accusavano di non saper disegnare. Ma non è così, e lo si comprende bene quando si osservano i loro dipinti con figure come il Ritratto di Henri Rouart (1871) e il Ritratto di Madame Ducros (1858), entrambi di Degas. Renoir, Morisot e Degas consideravano il disegno la vera essenza della loro pratica artistica: è la linea a dar vita al soggetto in tutta la sua complessità. 

Quinta sezione – Monet: da Argenteuil a Giverny

Waterlilies, 1916-19, Monet

Nato nel 1840 e morto nel 1926, Monet trascorse la sua intera esistenza immerso nella natura, che era per lui una fonte inesauribile di ispirazione. Nei primi anni della carriera piazzò il cavalletto ad Argenteuil nei dintorni di Parigi o in Normandia, dove era cresciuto, e fece numerosi viaggi in giro per l’Europa e in Olanda. Quando si stabilì a Giverny, il suo giardino divenne l’unico soggetto dei suoi dipinti. Monet va dunque visto come il maestro che, al pari di un cartografo, descrive la Francia e l’Europa, la vita urbana e quella rurale? No. Innanzitutto egli intende descrivere la luce e lo spazio: la luce brillante di una giornata di primavera ad Argenteuil (Passeggiata ad Argenteuil, 1875), l’atmosfera piovosa di un mare in tempesta a Fécamp (Il mare a Fécamp, 1881) o i riflessi del fogliame sullo stagno di Giverny (Lo stagno delle ninfee, 1917-1919 e 1918-1919). Se la coerenza di un simile approccio è innegabile, non esclude tuttavia l’evoluzione. Quando era un giovane impressionista, Monet si dedicava alla pittura da cavalletto ritraendo paesaggi panoramici – ne sono un esempio le vedute di Port-Villez (La Senna a Port-Villez, effetto di sera, 1894). Ma nel giardino di Giverny affronta il soggetto da un’angolazione opposta. Ritrarre la fragilità di un fiore sull’immensità di una tela gli permette di raffigurare uno spazio che sembra sterminato, in cui si incontrano l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, il micro e il macrocosmo.

Sesta sezione – Da Monet a Signac

The Roses, 1925-26

I dipinti di grandi dimensioni di Monet – primo fra tutti la sua ultima opera Le rose del 1925-26 – non furono mai stati esposti dall’artista in vita. Glicini (1919-1920) e Il ponte giapponese (1918) erano conservati nel suo salon-atelier e nel suo studio, mentre in camera da letto teneva le opere di cui amava circondarsi, ovvero quelle eseguite dai suoi amici. E non si limitava ai dipinti dei colleghi: infatti acquistò anche alcune tele del neoimpressionista Paul Signac dal mercante d’arte Bernheim-Jeune mentre altre gli furono donate dallo stesso Signac in occasione di una visita – quasi un pellegrinaggio – a Giverny. L’approccio dei due artisti è diverso, uno è più istintivo (impressionista), l’altro è metodico e scientifico (neoimpressionista), eppure condividono un obiettivo comune: esaltare la luce e il colore. 

Info: per garantire l’accesso alla mostra nel rispetto di tutti gli standard di sicurezza, a partire da lunedì 6 luglio saranno aperte le prevendite sul sito www.ticket.it. La mostra sarà aperta tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00 (chiusura biglietteria ore 19.00) e potranno entrare 25 persone ogni 20 minuti, per un massimo di 75 visitatori all’ora, con obbligo di indossare la mascherina. Il Comune di Bologna, con Bologna Welcome, partecipa alla promozione della mostra, anche con lo strumento della Card Cultura.Info disponibili visitando i siti: www.palazzoalbergati.com – www.arthemisia.it – www.ticket.it

 

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