Alla scoperta delle ‘vie del riso’ nelle terre del Vietnam e dei suoi 44 gruppi etnici

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Le vie del riso sono infinite nel sudest asiatico, ma in Vietnam le più suggestive sono racchiuse, come in uno scrigno, tra le aspre montagne nord-occidentali e benedette dai grandi corsi d’acqua cinesi, che frontiere e piogge non riescono a fermare. Prepotenti, il fiume nero e quello rosso, nel periodo delle piogge inondano campi e vite degli uomini. Una vita che in queste zone, un tempo considerate “speciali” e di scarsa produzione del riso, non è sempre stata semplice. Nonostante la  bellezza paesaggistica e la ricchezza etnica e culturale.

Mai Chau, a pochi chilometri da Hanoi e terra dei Thai bianchi, offre un primo assaggio di autenticità rurale e dell’ospitalità vietnamita. Campi di un verde abbagliante e sullo sfondo le aspre riserve montane, che permettono al riso di maturare come in un enorme calderone.
Tagliatori di immensi bambù e tessitrici di ottima seta, oltre alle immancabili “mondine” locali, accolgono il viaggiatore che in percorsi da fiaba, incontra anche le donne dai sorrisi “blu”. Una colorazione dei denti ottenuta con la masticazione di un’erba, il betel, che si dice “domi” la fatica. E dai sorrisi misteriosi, passando cento villaggi come Mung Lo, Mu Cang Chai, con i loro piccoli ma coloratissimi mercati, la scuola, l’immancabile campo della pallavolo, l’onnipresente stella gialla in drappo rosso ed un pensiero allo “ZIO HO”, ci si inerpica verso il panoramico passo di Tram Ton.

Immersi tra giungla, riso e piantagioni di chai. Il profumatissimo tè vietnamita che induce a degustazioni dondolanti su panoramiche amache. E poi all’orizzonte, picchi di arenaria che sembrano pani di zucchero o immensi draghi dalle mille gobbe, avvolti in soffici nebbie e coperti da un’intricatissima giungla, che ancora oggi rende queste zoneun regno difficile da espugnare. Anche dai suoi abitanti, i Moi, i selvaggi, detti montagnards dai francesi, che subirono guerre e pesticidi ma non hanno mai abbandonato la loro terra e la propria ricchezza culturale, che si determina anche nell’abbigliamento (copricapi, gioie, abiti, calzari, ecc), specie femminile, che continua a mantenere viva la tradizione, costituendo anche un richiamo turistico.

E le donne, ancora una volta, depositarie dell’identità dei popoli. Hmong neri, rossi, bianchi e fioriti, ben 44 gruppi etnici, che è possibile incontrare, mischiati a turismo ed a terrazze di riso maturo, simili a giganti torte dalle mille sfumature, nella montana cittadina di Sapa. Aperta al turismo dal 1980, nonostante la sua denaturante modernizzazione, costituisce però un ottimo punto di partenza per l’esplorazione delle montagne e delle sue genti coloratissime. Ma forse l’anima vera di questi luoghi si respira nei piccoli mercati locali ed in quelli più conosciuti di Bac Ha e Muong Hum, dove barbieri all’aperto, mischiati alle gonne plissettate, venditori di insetti e frutta vicino a macellai sanguinari, affascinanti venditrici di dolci avvolte nel fumo di mille cucine improvvisate, mischiano sacro e profano, turisti e locali, cineserie ed artigianato, motorette e maestosi bufali, senza ancora abdicare totalmente alla globalizzazione. Forse perchè in questa terra, tra queste genti, come dice il monaco Thic Nhat Hanh, Premio Nobel per la pace “Vivere insieme è un’arte”. E qui il “quadro” riesce ancora ad essere perfetto.

Testo e foto di Donatella Penati Murè

 

 

 

 

 

 

 

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