Visitare Vinitaly è il modo migliore, se non unico, per prendere coscienza del valore e dell’alta qualità della produzione vinicola italiana, della preparazione e passione dei nostri produttori indipendentemente da provenienza, tradizione ed età e del desiderio, quasi necessità, di andare oltre i risultati raggiunti

Terroir Zorzettig, Friuli venezia Giulia
Sono i motivi per cui i vini italiani pur essendo entrati nel mercato internazionale, salvo eccezioni, dopo quelli di molti produttori europei hanno come competitor nella leadership mondiale solo i francesi (di ben più antica tradizione). Sono queste capacità che permetteranno loro di superare problematiche e danni causati dagli ingiusti e immotivati dazi varati dal governo statunitense per colpire i produttori europei dopo che hanno insegnato loro a bere e produrre qualità.
Pensando alla realtà dell’ultimo Vinitaly e alla qualità ovunque riscontrata cerco di condividere le emozioni che a distanza di mesi prova ancora il mio palato ricordando gli assaggi effettuati in alcune regioni italiane. Sia chiaro che le regioni non citate non presentano minor qualità, ma mi sono mancati forza e tempo per gli approfondimenti.
Alto Adige
L’Alto Adige, pur essendo uno dei territori vitivinicoli più piccoli, è un grandissimo esempio di qualità: il 98% del vino prodotto è Doc o Docg. Una piacevole sorpresa è stata la Tenuta Pfitscher al cui stand mi sono recato incuriosito dalla indicazione “CasaClima Wine”. Si tratta di un riconoscimento attribuito – come mi ha spiegato Daniel, uno dei titolari – sia per il risparmio energetico che per la riduzione dell’impatto ambientale dovuto alla produzione del vino. È l’unica cantina ad avere questa certificazione in Alto Adige e forse anche in Italia.
I 25 ettari di vigneto sono in questi Comuni: Montagna (sede della cantina) zona vocata al Pinot Noir (vino che rappresenta il 18% delle 180.000 bottiglie prodotte), Egna, Cortaccia, Ora, Fiè allo Sciliar e Caldaro, aree scelte in relazione ai vitigni. Oltre al Pinot Noir i principali vini prodotti sono Sauvignon Blanc, Gewürztraminer e Lagrein (ognuno rappresenta il 17%). La filosofia aziendale è produrre vini puliti, lineari, buoni e di classe che, senza cercare effetti speciali, lascino un ricordo positivo nel palato di chi li beve.
Nonostante le intenzioni, non ho potuto esimermi da un affascinante Sauvignon riserva Mathias 2023 (celebra il nome del fondatore della tenuta nel 1861), un vino fresco, minerale ed elegante caratterizzato da una struttura sorprendente e un gradevolissimo finale e da un Sauvignon Blanc (100% da un unico vigneto a 900 m. slm di Fiè allo Sciliar) che presenta al naso e al palato sentori particolari da scoprire degustandolo.
Ed ecco le versioni dell’amato Pinot Noir. Inizio dal Matan 2022 Riserva ottenuto solo da vigneti di trent’anni dell’Uga Gleno (l’Uga è la versione altoatesina dei ‘cru’ francesi): tannini raffinati e splendidi sentori di erbe alpine, frutto di un affinamento di 12 mesi in bottiglia dopo i 18 tra botte piccola e grande. Il Vigna das Langefeid 2020 proviene da vigneti piantati nel 1984 nell’Uga Gleno (territorio a 500 m. slm. tra i più vocati per il Pinot Noir); dopo la fermentazione spontanea in cemento, affina per 18 mesi tra barrique e botte grande e 30 in bottiglia: è un grande interprete del territorio e della filosofia della cantina.
Non ho potuto non concludere (lasciando al futuro l’incontro con gli altri, immagino ottimi, vini) con il Brut Nature Riserva 2019, 100% Pinot Noir vinificato in bianco unicamente da vigne a 600 m slm e affinato sui lieviti per 60 mesi: un metodo classico raffinato e intenso, con grande freschezza e con note fruttate e agrumate arricchite da sensazioni speziate e minerali: una gioia per il palato.
Friuli Venezia Giulia
Terra con grande tradizione vitivinicola ha presentato a Vinitaly molte aziende di grande valore e tradizione: ho optato per l’Azienda agricola Zorzettig (una delle più belle e significative realtà dei Colli Orientali del Friuli) per incontrare la titolare Annalisa, una delle più dinamiche e intelligenti ‘donne del vino’. Succeduta nel 2006 al padre Giuseppe (cui si deve riconoscere il merito di non avere ceduto al fascino dei vitigni internazionali), ha dato subito un forte impulso alla ricerca della qualità, al terroir inteso anche in termini di sostenibilità ambientale e all’impianto di vitigni autoctoni (Friulano, Ribolla Gialla, Verduzzo, Refosco e Schioppettino), senza però rinunciare a Pinot Bianco, Sauvignon Bianco, Cabernet Frank e Merlot vitigni che hanno acquisito caratteri friulani. Dal 2016 tutti i vigneti sono SQHP (Sistema della qualità nazionale per la produzione) avendo l’azienda rinunciato all’uso del diserbo chimico. Gli attuali 120 ettari di vigneto sono suddivisi nei comuni di Cividale (a Spessa è la sede aziendale), Pramariacco, Prepotto e Pignolo e la produzione è di circa 800.000 bottiglie annue.
Alla linea classica che esprime lo spirito del territorio, nel 2008 si è aggiunta la linea Myò: ottenuta da uve selezionate dai vigneti storici (in alcuni casi raggiungono i 90 anni) più vocati, interpreta la sintesi tra innovazione e tradizione e la scelta di proteggere la natura. Myò significa mio ed è tratto da una ballata friulana del XIV secolo: nell’etichetta un bicchiere rovesciato protegge un’espressione della natura.
Vino simbolo della linea Myò è I Fiori di Leonie dedicato alla nipote Leonie: un blend di tre uve bianche (Friulano, Pinot Bianco e Sauvignon Bianco). Di grande eleganza e versatilità, al naso ricco di molteplici sentori, in bocca è equilibrato e avvolgente facendo risaltare la sapidità e freschezza proprie dei Colli Orientali. Simbolicamente racchiude il passato (il Friulano), il presente (Pinot e Sauvignon Bianchi) e il futuro (la nipotina). Il Friulano Myò (100% dell’omonimo vitigno) è in pari tempo semplice e complesso, ricco al naso di una vasta gamma di sentori (dagli agrumi, alle mandorle tostate e alla liquerizia), in bocca ha una bella struttura, è morbido, minerale e fresco ed è adatto anche a un certo invecchiamento. Lo Schioppettino Myò ottenuto in purezza è un rosso potente e dalla personalità inconfondibile: al naso ha un bouquet eccezionale per ricchezza e varietà di sentori, in bocca è corposo, rotondo, con tannini non invadenti e un finale prolungato e impreziosito da una piacevole nota speziata. Il palato sollecita al termine di questo breve excursus (occorre comunque ricordare anche una splendida Malvasia) la versione Myò del Piccolit, il friulano forse più famoso al mondo: un dono della natura causato dalla ‘acinellatura’, cioè grappoli con acini rarefatti e quindi con una naturale concentrazione aromatica. Per la luminosità del colore, il bouquet ampio e complesso ma delicato, l’incredibile equilibrio, la vellutata freschezza e un finale persistente e gradevole per i sentori di frutta secca degustare un Piccolit Myò è un’esperienza unica e indimenticabile.
Basilicata
Altra piacevole scoperta è stata la Cantina di Venosa, bella realtà della Basilicata e di tutto il Sud non solo per l’ottima qualità dei vini, ma anche per la sua filosofia aziendale. Nata nel 1957 dalla volontà e dalla perspicacia di 27 produttori, oggi è radicata nel territorio con 300 soci di cui – aspetto socialmente importante – circa la metà giovani.
Gli 800 ettari di vigneti sono dedicati soprattutto all’Aglianico del Vulture, vitigno simbolo della zona, Malvasia di Basilicata, Moscato Bianco, Merlot e un po’ di Greco. Attualmente produce oltre 2 milioni di bottiglie con 24 etichette in prevalenza di Aglianico Doc e Docg. Numeri notevoli la cui importanza però scompare rispetto a scelte operative caratterizzate da etica e innovazioni veramente utili come la mappatura satellitare che segnala dove vi sia stress idrico o il rischio di malattie patogene, facilitando localizzazione e tempestività dell’intervento nei vigneti.
Per la Cantina di Venosa etica, cura dell’ambiente, sostenibilità sociale ed economica, solidarietà, sicurezza alimentare, ricerca e sperimentazione non sono state e non sono vuote parole ma azioni. Salvaguardia dell’ambiente vinicolo, riduzione dei consumi energetici con impianti, attivi da anni, per produrre autonomia energetica, adozione di mezzi di trasporto delle uve con ridotte emissioni di CO₂ e adozione di un Codice Etico sul modo di fare impresa sia sul piano interno (rapporti con collaboratori e dipendenti) sia verso l’esterno (concorrenza, tracciabilità dei processi produttivi…) sono solo alcuni esempi della filosofia operativa della cantina. Guarda al futuro una sperimentazione come quella effettuata nel mare di Portofino in cui è stato creato un ‘cantinamento’ per 120 bottiglie di Carato Venusio che vi restano per sei mesi per verificare le reazioni del vino. Una realtà rara in un’epoca in cui la massimizzazione del guadagno immediato domina gli esseri umani. Sarà forse ancora presente lo spirito di Orazio, grande poeta di Venosa? Certamente il vulcano Vulture (spento dai tempi della glaciazione di Mendel) ha lasciato in dono una terra speciale (da cui trae vita un grande vitigno come l’Aglianico del Vulture) sintesi tra il ricco terreno vulcanico e il clima particolare dell’altipiano collinare in cui sorge Venosa.
L’Aglianico è il protagonista dei vini che hanno deliziato il mio palato a cominciare dal Carato Venusio Superiore-Aglianico del Vulture Docg, un rosso ottenuto in purezza da uve coltivate a 400 m slm in vigneti di circa 50 anni, affinato in barrique francesi per 20/24 mesi e almeno per 12 mesi in bottiglia. Potente, strutturato ed elegante, è piacevolmente tannico e delizia il naso con un bouquet ampio, complesso e delicato. Il Gesualdo da Venosa – Aglianico del Vulture dop è un’altra interpretazione del vitigno, sempre in purezza: è ottenuto unendo il 50% affinato per 9 mesi in botti piccole e il restante 50% in acciaio creando un vino elegante, leggermente tannico, versatile per abbinamenti. Emozionante il Matematico, un rosso di taglio bordolese (prodotto solo nelle annate migliori) ottenuto da uve Merlot e Aglianico. Affinato in barrique francesi per 6 mesi, è superbo e generoso con un bouquet molto ricco, complesso e raffinato. In bocca è morbido, corposo, caldo e con tannini eleganti.
Dopo questo splendido bordolese-lucano mi rifiuto di accontentare il palato degustando anche il Verbo Aglianico del Vulture dop, un vino moderno e di buona struttura e il Tansillo Pas Dosé, un metodo classico rosé che ho dovuto promettere di assaporare nel 2027.
Immagine in apertura: i vigneti di Zorzettig
